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e-ISSN 3035-0182 |
La Rivista storica delle terre adriatiche, i cui intenti sono resi evidenti già dalla sommaria spiegazione del suo titolo. Perché ‘terre adriatiche’? Non si tratta soltanto di riproporre lo studio storico delle relazioni tra ‘sponde’ adriatiche, oggetto secolare della riflessione di studiosi benemeriti, di convegni e di tentativi di stabilizzazione tematica affidati a riviste. Terra e mare non costituiscono più, lo sappiamo, spazi contrapposti, salvo che li si voglia considerare secondo recinzioni politiche, e anche secondo una storia, quella politica, che, ad ogni modo, fin dal Medioevo, ha ben ragione di esistere. Tuttavia c’è un’altra storia, ed anche questa di remota datazione, nella quale il mare, e per il mare, si penetra fin oltre le sponde o coste che si affacciano su di esso innervando le terre retrostanti, e le più lontane ancora, di una tessitura connettiva di lingua, di religione, di diritto e anche di sangue. Conservarsi alle origini in un’altra terra è anche unire le terre sia pure attraverso la loro stessa diversità. Il recupero della storia di queste terre unite dal mare è lo scopo della nostra rivista. Potremmo elencare il molto che si offre a contextio; ad esempio i diversi e fortemente complessi profili delle immigrazioni da Levante in Italia, e nel bacino adriatico. Non è esempio occasionale perché queste migrazioni avvengono come in un largo spazio costituito da una comune coscienza cristiana, che però poi, all’approdo, si frange in appartenenze; in ogni terra c’è, effettivamente, un ordine delle persone, così come un ordine delle terre: ed ecco affiorare, come questioni positive, cioè da ordinare, e per noi da conoscere, i tanti profili – e diversi rispetto alle terre di provenienza (Dalmazia, Albania, Grecia…) - del diritto di cittadinanza da acquisire, dell’assetto istituzionale (spesso feudale) delle terre da abitare, della gerarchia sociale che si mostra nell’accoglienza e, quindi, dei modi sociali della vita collettiva e della sua disciplina, dalla differenza cetuale all’impianto prosopografico dei ceti. E c’è anche un ordine delle coscienze, in particolare della coscienza religiosa, animata da culti e soprattutto riti diversi, sui quali incombe, regolatrice, e s’intende in Italia, la norma tridentina. C’è la lingua, perché se l’italiano è, fin dentro il Settecento, la lingua franca del Mediterraneo, nel suo stesso corpo si muovono, a maglie larghe, il greco, e l’albanese, e altro ancora; e così nel greco e nell’albanese si affaccia l’italiano come dall’orlo di un ricordo che la vita sostiene. E ugualmente aldilà del mare si mostra la vicenda politica ed anche istituzionale, cioè ancora come precipitato d’ordine, e in particolare di ordine dei territori, della presenza italiana, francese o spagnola nelle terre slave, albanesi o greche, e più in là ancora, in Asia minore. Infine, se il mare unisce può anche dividere, perché percorso dall’ immane nemico: il Moro, il Saraceno poi il Turco, con il suo portato di guerre e trattati, di riduzione in schiavitù e commerci, di pirateria e cultura, mentre, a tratti, un potere unitario che frena, una ‘compatta potenza terrena’, il kat-echon, sorge a contrastarlo per conservare queste diversità alla loro unità come, solo in parte– storicamente- è avvenuto.
N. 2
Versione completa
Rivista storica delle terre adriatiche 2/2023 |
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i-112 |
Articoli
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1-4 |
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105-110 |
Colophon |
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111-112 |
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e-ISSN: 3035-0182